Più siamo, meglio è!

Il Fico bianco, "l'oro dolce" del Cilento. Manlio De Feo, Presidente del Consorzio per la tutela.

L’idea del consorzio nasce in coerenza al riconoscimento dell’UE della “Denominazione di Origine Protetta” (DOP), con l’intento di valorizzare e tutelare il prodotto.

Economia
Cilento mercoledì 10 aprile 2024
di Angelo D'Ambrosio
Fichi per marmellata
Fichi per marmellata © unicosettimanale

Abbiamo avuto il piacere di parlare con un imprenditore cilentano che sta dedicando la sua vita alla valorizzazione e tutela del fico bianco del Cilento, una prelibatezza che non solo rappresenta la tradizione e la biodiversità di questa terra, ma è anche un simbolo di qualità e eccellenza nel panorama agroalimentare italiano. Attuale presidente del consorzio di tutela, Manlio De Feo è anche noto per il suo impegno nella vita pubblica come ex sindaco di Orria, dove ha lavorato con passione per il benessere della sua comunità. Oggi ci racconterà la sua storia, le sfide passate e prossime nel percorso di promozione di uno dei tesori del Cilento.

  • A quando risale il suo interesse per la tutela del fico bianco del Cilento?

La mia famiglia si è sempre dedicata a questa attività. Io personalmente ho intrapreso questo percorso in seguito ad una manifestazione che si tenne ad Orria nella metà degli anni ’90; “nna vranca re fico, nnu tuozzo re pane”. In questa occasione ricevemmo l’allora assessore regionale all’agricoltura Antonio Lubritto che, ci invogliò a partecipare al primo bando POP della Regione Campania con il quale, nell’anno 2000, vennero finanziati e sviluppati nuovi impianti (piantagioni). Fu costituito un primo gruppo promotore per dar rilievo all’ottenimento, nel 2006 dall’UE, della denominazione DOP. Successivamente costituimmo il primo “Consorzio del fico bianco del Cilento, ma quell’esperienza non risultò felice; nelle adesioni non correva un’idea imprenditoriale precisa e per via anche di qualche errore di forma presente nello statuto, il ministero non diede mai il riconoscimento ufficiale. Pertanto, nell’arco degli anni a venire, ho tentato più volte di rendere attivo il consorzio, ma soltanto nello scorso luglio (2023) con l’adesione di ben 31 soci, ne abbiamo creato uno ex novo, con la differenza di poter contare su aziende ben strutturate e con una consapevolezza e un’impostazione diversa.

  • Quindi l’idea del consorzio nasce per integrare il riconoscimento DOP?

L’idea del consorzio nasce in coerenza al riconoscimento dell’Unione Europea della “Denominazione di Origine Protetta” (DOP), con l’intento di valorizzare e tutelare il prodotto. Chiaramente in tutti questi anni abbiamo lavorato anche sull’informazione, cercando di far capire l’importanza della questione ai produttori, soprattutto a quel che riguarda i guadagni. Se le vendite venissero contraddistinte dalla presenza di un marchio riconosciuto a livello nazionale ed internazionale, avranno una considerevole crescita.

  • Allo stato attuale non è difficile percepire della bontà e della qualità dei prodotti, ma in termini quantitativi?  

Non conosciamo, allo stato attuale, il quantitativo prodotto. Da imprenditore posso dire che per la richiesta, la produzione risulta essere bassa e dispersa.

  • Perché dispersa?  

Faccio un esempio, se essicco 200 kg di fichi e consegno piccole porzioni a piccoli commercianti locali, faccio disperdere il quantitativo nelle maglie di un mercato ridimensionato, un meccanismo che non fa leva sul concetto di “filiera precisa”. Per certi aspetti, manca il pensare in grande e a sua volta, il prodotto viene disperso in larga parte per usi strettamente locali. Dopotutto, abbiamo ancora poco chiara l’intera rete dei produttori, vi sono diverse aziende che pur essendo presenti sul fascicolo aziendale, non sono iscritte alla DOP.

  • È stato il Sindaco di Orria per diverso tempo, chi meglio di lei conosce alcune dinamiche territoriali. Come si spiega – in merito – la mancanza di un circuito rappresentativo e informativo più adeguato tra i produttori?

Ci sono dei paesi che sono più votati alla produzione del fico bianco che hanno sicuramente maturato una crescita importante, mi riferisco al circondario di Agropoli e quindi Prignano, Ogliastro, Torchiara, Giungano. In altri comuni invece viene considerata, nostro malgrado, una coltura ancora marginale a differenza di un secolo fa che, rappresentava un vero e proprio sostentamento; si faceva l’esportazione anche verso gli Stati Uniti. Oggi tutto è andato a scemare, probabilmente perché non è più in uso l’estrazione dello zucchero dal fico, che al tempo veniva utilizzato per il processo di trasformazione in alcol. Consideriamo inoltre, un dato oggettivo, in tutta la regione Campania, con la riapertura di un nuovo bando POP, sono state presentate 51 domande per la coltivazione del fico e ben circa 500 per la coltivazione dell’olivo. Trovi le differenze!

  • Quindi un secolo fa, si faceva l’esportazione dei fichi del Cilento?

Già nel 1600 partivano dal Cilento i nostri fichi per il nord Europa. Tuttavia è appurato da documentazioni scritte che, venivano imbarcate sulle navi – da Agropoli – anche ad inizio novecento e prendevano la rotta per gli Stati Uniti. C’era sicuramente una produzione di gran lunga superiore a quella di oggi, tenga conto che la mia famiglia negli anni ’50 e ’60 era titolare di un negozio a Salerno la cui denominazione era: “Prodotti tipici del Cilento, Olio - Vini e Fichi” e produceva settanta/ottanta quintali di fichi secchi all’anno, una quantità che noi “novelli” produttori non raggiungiamo affatto.

  • Costruire una rete di produttori in Cilento, una sfida che richiede tenacia, dedizione e passione. Un’idea che si cerca di perseguire da tempo anche in altri settori. Com’è lavorare su questo aspetto sul campo pratico?  

È molto difficile perché di per sé, il cilentano è diffidente. In generale, non si percepisce che essere uniti e crescere insieme è l’unica chiave di svolta per ottenere risultati importanti, oltretutto quello che dobbiamo fare come consorzio è aiutare le aziende ad alzare la qualità della produzione. Ad esempio, i fichi secchi vengono venduti tutti a settembre perché più in là, il frutto tende ad ospitare i vermi, ma oggi abbiamo tecniche di sterilizzazione che ci consentono di farli rimanere intatti per diverso tempo. Prima si faceva questa operazione con i forni, ma il risultato non era dei migliori. Con il calore delle alte temperature lo zucchero, presente sulla buccia, veniva caramellato e ottenevamo dei fichi rossicci, adesso invece, con nuove tecniche, possiamo fare questa operazione senza l’aggiunta di solfiti e possiamo tranquillamente conservare i nostri fichi in ambienti freschi. Inoltre, dobbiamo prestare attenzione alla presentabilità del frutto, alla sua bellezza, quindi adattare nuove tecniche di produzione e di conservazione, ma prestare attenzione anche alla parte estetica. Ecco perché il singolo produttore non potrebbe e non riuscirebbe a fare tutto da solo, non avrebbe la forza necessaria, ma con l’aiuto del consorzio che opererà in collaborazione con università e centri di ricerca, tutto sarà possibile. Più siamo, meglio è!        

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